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martedì 7 giugno 2011

DIETE & diete.

Riporto integralmente l'articolo apparso su http://www.modusonline.it/33/inchiestacontinua.asp
L'evidenziazione del testo con vari colori è opera mia.



Marina Armellini, dietista presso la struttura di Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine.
Puntare tutto sul verde
Sempre più persone sono tentate dagli stili alimentari alternativi: vegetariano, macrobiotico, bio... proposti da riviste, siti internet e personaggi famosi. Sono scelte radicali che riducono la varietà degli alimenti e non sempre mettono l’accento sull’introito di sale e calorie, ma alcune vanno nella direzione giusta, ammettono i diabetologi, purché...


Si stima che siano il 5% della popolazione italiana, forse di più. Sicuramente è in crescita il numero di persone in Italia che optano per stili alimentari ‘alternativi’: vegetariani, vegani, macrobiotici. Ed è ancora maggiore la quota di consumatori che sceglie alimenti ‘bio’ e guarda con curiosità alle proposte delle erboristerie e dei negozi specializzati in alimenti esotici. È una delle tante risposte che si dà una società sempre più conscia delle conseguenze che una alimentazione più o meno sana può avere sulla salute.
Qual è il giudizio dei diabetologi e degli esperti di alimentazione su queste nuove tendenze? Sono scelte adatte alla persona che ha il diabete o vuole prevenirlo? Qualche riserva c’è: «Nessuno stile alimentare ‘alternativo’ coincide pienamente con quello ritenuto ideale per la persona, in generale, e per la persona con diabete in particolare. Noi consigliamo un’alimentazione variata e moderata a base di tanti alimenti il più possibile sani», considera Salvatore Ponticello responsabile dell’Unità operativa di Diabetologia del Distretto di Gela in Sicilia, «le Linee guida raccomandano di mangiare più fibre, frutta, verdura e cereali integrali, di non eccedere con i grassi animali e di sostituire pesci e legumi alle carni rosse. In questo senso, quindi, una dieta vegetariana potrebbe anche avvicinarsi al nostro obiettivo».
Qualche convergenza quindi c’è «comunque l’alimentazione consigliata per la prevenzione delle malattie cardiovascolari (infarto del miocardio) e del diabete mellito di tipo 2 e la modifica dello stile di vita che ne consegue è stata ottenuta con metodi estremamente differenti da quelli degli stili alimentari alternativi», considera Davide Lauro, professore di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e titolare del Centro di Riferimento Diabete Tipo 2 della Fondazione Policlinico di Tor Vergata-Roma. «La terapia nutrizionale si basa su evidenze scientifiche, mentre le scelte alternative come le diete macrobiotiche e vegana etc. nascono da esigenze etiche o filosofiche».
Nazario Melchionda che da poco ha lasciato la direzione della Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione, indirizzo Nutrizione Clinica dell’Università di Bologna, concorda pienamente e rincara la dose.
«Spesso lo stile alimentare alternativo nasce da un’eccessiva fiducia nelle mode culturali, nelle informazioni non controllate che mischiano concetti scientificamente provati, come il ruolo negativo delle carni rosse nella genesi dei tumori all’intestino e il ruolo protettivo delle fibre, con altre informazioni colte qui e là». Occorre quindi sapere di più sui possibili riflessi metabolici di una ‘conversione’ dietetica ed è questo che Modus cerca di fare con questo articolo, passando in rassegna le opzioni più frequenti.



Davide Lauro, professore di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Dieta macrobiotica.
La macrobiotica è uno stile di vita basato sull’equilibrio tra le forze antagoniste e complementari che, secondo le antiche teorie cinesi, governano l’Universo: lo ying e lo yang. È una concezione filosofica dell’alimentazione, più che salutistica in realtà, visto che è stata codificata nel novecento da un giapponese Nyoiti Sakurazawa, senza una valutazione dell’impatto sul metabolismo della persona. «Ovviamente non si tratta di una dieta valutata con rigoroso approccio scientifico e quindi non può essere verificato il potenziale effetto benefico», spiega Davide Lauro «dal punto di vista medico una dieta rigidamente macrobiotica è ricca di fibre e povera di grassi, ma assegna un ruolo molto importante al riso che, pur essendo un ottimo cereale, è costituito principalmente da amido ed è scarso di proteine e acidi grassi. L’utilizzo principale, quasi esclusivo, del riso nella dieta può avere degli effetti nocivi per la salute. Nella sua forma classica, inoltre, la dieta macrobiotica è molto ricca di sale, sostanza che come è noto aumenta la pressione arteriosa. Nella dieta macrobiotica sono assenti alcuni elementi cosiddetti ‘nobili’ che l’organismo non può sintetizzare, come gli aminoacidi essenziali, e che la persona deve assumere dal-l’esterno. Per esempio si potrebbe avere una carenza di calcio e di alcune vitamine». «Recentemente», continua Lauro, «si è avuta una rivisitazione del-la cucina macrobiotica con un introito maggiore di frutta e verdure. Questa dieta spesso definita ‘naturale’, ricca di fibre e povera di grassi, può essere accettata purché si tenga d’occhio la quantità di calorie che nell’approccio macrobiotico non è indicato».


Angela Albarosa Rivellese, docente di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università Federico II di Napoli.


Dieta vegana.
Il vegetarismo (detto anche vegetarianismo o vegetarianesimo) è una forma di alimentazione che esclude il consumo di alcuni o di tutti gli alimenti di origine animale, per motivi religiosi, etici (amore per gli animali), per le conseguenze che l’allevamento ha sull’ambiente, per igiene e, più recentemente, per motivi salutistici. Personaggi famosi dell’antichità come Pitagora e Plutarco, Seneca e Leonardo da Vinci o più recenti come Gandhi, hanno seguito questi principi. Lo scrittore Safran Foer e l’oncologo Umberto Veronesi oggi se ne fanno attivi portavoce. Dal punto di vista alimentare (c’è anche chi rifiuta di indossare capi d’abbigliamento o accessori prodotti con pelli o peli di animali) esistono diverse filosofie di comportamento.
La forma più radicale è quella cosiddetta vegana che esclude l’uso di prodotti di origine animale: carne e pesce, ma anche latte, latticini, uova e derivati compreso il miele. Tra le diete vegetariane, la vegana è l’unica che, se non seguita con particolare attenzione e se non ben pianificata, potrebbe determinare alcuni rischi per la salute. «Infatti, una alimentazione di questo tipo, abbastanza limitata, pur potendo associarsi a una riduzione del rischio cardiovascolare, può esporre l’organismo – se seguita per lungo tempo senza i dovuti accorgimenti – ad alcuni deficit alimentari, penso al ferro per esempio, al calcio e ad alcune vitamine che o non sono sufficientemente presenti in questa dieta o lo sono in forme più difficilmente assimilabili dall’organismo», spiega Angela Albarosa Rivellese, docente di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università Federico II di Napoli, «con possibili conseguenze quali ipovitaminosi, anemia da carenza di ferro, osteoporosi, specialmente per le donne in menopausa. In particolare nel bambino e negli adolescenti le diete vegane devono essere utilizzate con molta attenzione».



Dieta vegetale o vegetariana.
Per orientarsi nell’arcipelago delle diete ‘vegetali’ occorre tenere presente un principio: «lo stile alimentare vegetariano tanto più è ‘rigido’, tanto più espone chi lo segue a un aumento del rischio di una carenza delle proteine assunte con l’alimentazione. La dieta vegetariana prevede pochi grassi saturi e trans-saturi, un introito di fibre molto importante e questo può ridurre il rischio di patologia cardiovascolare e d’insorgenza del diabete di tipo 2», spiega Lauro.
«Recentemente l’Associazione dei dietisti americani ha dato la sua approvazione alle diete vegetariane indicando, da una parte, quali sono i benefici e, dall’altra, quali debbano essere gli accorgimenti da utilizzare per evitarne i possibili rischi», ricorda la Rivellese che ha presieduto il gruppo di studio sulla nutrizione della European Association for the Study of Diabetes.
«Uno degli aspetti più importanti delle diete vegetariane è il maggior consumo di fibre vegetali, che è senz’altro utile in quanto aumenta il senso di sazietà, ha effetti positivi sul sistema digerente e soprattutto aiuta la persona con diabete a ridurre il picco postprandiale della glicemia».
Tra le diete vegetariane, «alcune si assocerebbero ad un minor rischio di sviluppare diabete e obesità e in alcuni studi anche malattie cardiovascolari, ma è difficile capire in che misura questo effetto è dovuto alla dieta in sé o al fatto che le persone che seguono queste diete tendono ad avere, in generale, uno stile di vita più attento e salutare», ricorda la diabetologa di Napoli.


Non solo verde
Gli esperti intervistati da Modus non ritengono pienamente consigliabile una dieta rigidamente ‘verde’, «eliminare dalla propria alimentazione tutti i prodotti e sottoprodotti animali significa seguire una dieta carente in alcuni nutrienti ed è un po’ assurdo cercare una alimentazione naturale e poi dover andare in farmacia e assumere delle pillole per integrarla», sottolinea Marina Armellini, dietista presso la struttura di Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine.
Le versioni più ampie delle diete vegetariane, come la dieta pesco-pollo-vegetariana, si avvicinano molto al modello di una alimentazione sana «perché alla riduzione dei grassi – in particolare di origine animale – e all’aumento di cereali integrali, legumi, verdura e frutta, si associa anche un minimo apporto di proteine di origine animale; se poi aggiungiamo un moderato ricorso al latte, specialmente se magro, siamo ancora più sicuri anche in relazione all’apporto di calcio», fa notare Angela Albarosa Rivellese.
Marina Armellini, forte della sua decennale esperienza di dialogo con persone che devono o vogliono modificare la loro alimentazione, si pone un problema diverso. «Davanti a una scelta alimentare rigida, quale che sia e per motivata che possa essere, dobbiamo pensare alla sua sostenibilità nel tempo. II diabete, il sovrappeso e lo scompenso metabolico sono condizioni croniche o di lunghissimo termine. Capisco che, convinta da una tesi o spaventata da una diagnosi, una persona faccia una scelta radicale, ma le sarà possibile rimanere coerente? E cosa succederà se il nuovo stile la stanca?». Una brava dietista o un bravo medico, se può evitarlo, non consiglia diete prefissate o mutamenti di rotta improvvisi nella alimentazione; «preferiamo lavorare all’interno delle preferenze alimentari del paziente».


Alimenti ‘bio’.
L’agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo facendo a meno dei fertilizzanti ‘chimici’, utilizza una grande varietà di sementi e non solo quelle che garantiscono una resa maggiore e tanto meno i semi geneticamente modificati.
L’agricoltore ‘bio’ limita molto il ricorso a prodotti chimici per debellare i parassiti e accetta che nei suoi campi siano presenti anche altre specie infestanti. L’allevamento bio utilizza mangimi tradizionali ed è realizzato in condizioni più simili possibili a quelle naturali.
I prodotti ‘bio’ sono sottoposti a una regolamentazione precisa il cui rispetto, verificato da apposite agenzie, permette ai prodotti di fregiarsi di un marchio. L’Italia è uno dei Paesi che maggiormente hanno adottato tecniche agricole e di allevamento ‘bio’.
Diverse ricerche hanno confermato come nei prodotti ‘bio’ siano maggiormente presenti sostanze antiossidanti naturali e meno presenti prodotti chimici. È difficile trovare un collegamento ‘sicuro’ fra l’alimentazione ‘bio’ e una minore incidenza di infarti, per esempio, o di tumori, «anche perché le persone che scelgono prodotti biologici nei supermercati hanno in genere una istruzione e una motivazione che le porta a fare altre scelte alimentari, ad avere uno stile di vita che invece hanno un effetto provato sulla salute», sottolinea Marina Armellini. I medici intervistati da Modus sono comunque favorevoli alla agricoltura biologica. «Pur in mancanza di prove scientifiche, un principio di prudenza ci fa pensare che il cibo più è naturale meno danni può arrecare. Introdurre nell’alimentazione una sostanza estranea alle nostre abitudini alimentari, o di sintesi, rappresenta sempre un potenziale rischio metabolico e tumorale», ricorda Lauro. «È difficile trovare un legame fra le sostanze potenzialmente contaminanti introdotte in una alimentazione ‘non biologica’ e il rischio cardiovascolare. Ci potrebbero essere conseguenze a livello tumorale ma questo tipo di rischi può essere dimostrato solo a lungo termine. Ad ogni modo io credo che, potendo, sarebbe meglio preferire le tecniche di coltivazione e allevamento che prevedono meno sostanze contaminanti», concorda la Rivellese.


Nazario Melchionda, dirige il Centro di prevenzione e cura per obesità, disturbi alimentari e metabolismo, a Bologna.


Colture e cultura.
Sulla stessa linea si pone la sempre maggiore attenzione verso gli alimenti freschi e vicini alla tradizione, «difficilmente una abitudine alimentare che si tramanda nei millenni può essere definita dannosa. Attenzione però a non ‘esportare’ tradizioni culinarie da un continente all’altro. Non è detto che la dieta di un contadino cinese o giapponese sia la migliore per il metabolismo di un europeo. Vediamo ogni giorno gli scompensi che il cambio di alimentazione porta nel metabolismo delle persone costrette a emigrare», ricorda Melchionda che attualmente dirige a Bologna il Centro di prevenzione e cura per obesità, disturbi alimentari e metabolismo.
Più che andare in cerca su internet della tradizione alimentare ‘di moda’ o frugare nelle erboristerie e nei negozi di nicchia, chi vuole mangiare bene potrebbe recarsi nelle bancarelle dei mercati o ricordare le ricette dei genitori e dei nonni. Melchionda è molto deciso: «quello alimentare è un gigantesco ‘falso problema’ creato dall’effetto concentrato di innumerevoli richiami pubblicitari, mode culturali e cattive informazioni, quasi sempre interessate. L’alimentazione è un business e questo vale sia per l’industria sia per le filiere ‘alternative’».
«Alla base del problema c’è il distacco fra la persona e la tradizione alimentare, la natura. La risposta quindi è semplicemente astrarsi da questi messaggi e tornare alla propria storia. Spontaneamente l’uomo si alimenta nella maniera migliore, l’evoluzione ci ha resi capaci di compiere da soli scelte corrette», ricorda Melchionda che dedica oggi la sua attenzione alla ‘gastronomia metabolica’, ovvero a una alimentazione che rivisita la tradizione gastronomica, sposandola con l’esigenza scientificamente provata di ridurre l’apporto di grassi saturi nell’alimentazione.


Salvatore Ponticello, responsabile dell’Unità Operativa di Diabetologia del Distretto di Gela in Sicilia.


Chilometri zero.
Il concetto di ‘Chilometro zero’ o ‘filiera corta’ converge con quello appena descritto, anche se deriva da una sensibilità ambientale più che salutistica. «che senso ha mangiare un frutto o una fetta di carne che ha percorso 10 mila chilometri per arrivare sulla nostra tavola, con tutti gli sprechi e i costi economici e ambientali del caso, quando un prodotto simile si trova magari a 10 chilometri di distanza?», si chiede Marina Armellini, membro del gruppo di studio diabete dell’ANDID (Associazione Nazionale Dietisti).
Premiare il prodotto ‘vicino a casa’ significa sostenere l’economia locale, promuovere varietà di sementi o specialità regionali, privilegiare il fresco al conservato, il particolare al prodotto standard.
La tendenza verso il consumo di alimenti a ‘chilometri zero’ prodotti nel territorio e quindi all'utilizzo di frutta e verdura di stagione, freschi o sottoposti a pochi trattamenti di conservazione mi trova concorde», ammette Lauro, «è vero che la tecnologia ha fatto notevoli progressi e non abbiamo prove per dire che il trasporto degli alimenti o le lavorazioni siano dannose per la salute. Ma è, comunque, possibile considerare i prodotti locali di stagione più salubri di altri prodotti sottoposti a differenti trattamenti». In Sicilia il concetto di ‘Chilometro zero’ è la prassi abituale. «Molti, anche fra coloro che vivono in città, hanno appezzamenti di terreno o parenti che coltivano un orto e sanno pure riconoscere il pesce buono. Nelle bancarelle e nei negozi trovi frutta e verdura raccolta il giorno stesso, spesso dalla stessa persona che la vende», spiega Ponticello.
Verdura e frutta di stagione quindi, a prezzi ‘stracciati’ come la definisce il diabetologo di Gela, «e lo stesso vale per il pesce, fresco, facilmente reperibile e a un prezzo concorrenziale rispetto alla carne che qui costa invece più o meno come a Palermo o Catania». I pazienti di Ponticello sono quindi portati dalla tradizione e dall’istinto a una dieta ricca di fibre, vitamine e povera di grassi saturi. «Il nostro problema sono i carboidrati, in particolare le porzioni», ricorda Ponticello, «si fa una vita sedentaria ma si mangiano le porzioni di pasta o pane che si vedevano in tavola quando si lavorava nei campi».

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Nota personale (di Michielli Lorenzo)
Consiglio, per allargare il campo di conoscenza, di informarsi sull'argomento NUTRACEUTICA.
Il succo di mangostano risponde a questa filosofia di vita, che comprende cibo ed emozioni.
Dispongo di materiale didattico audiovisivo (DVD) su tale argomento, prodotto con il contributo del dottor Giacconi Gianluigi di Udine, psicologo-naturopata.


Per richieste e info scrivere a mezzo email a lorenzo.michielli@poste.it
Consiglio la visita al blog "mangostinaitalia" (vedi).





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