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martedì 7 giugno 2011

Quando ingrassare diventa un problema.

Riporto integralmente l'articolo apparso su http://www.modusonline.it/35/sapere.asp



Ivana Rabbone, diabetologa presso la SCDU di Endocrinologia e Diabetologia pediatrica dell’Ospedale infantile Regina Margherita di Torino
La conta dei carboidrati passo passo
Richiede un poco di impegno all’inizio ma presto diviene automatico e regala autonomia e libertà permettendo di affrontare ogni pasto o bevanda senza aumentare troppo la glicemia.


All’inizio lo si proponeva solo, o soprattutto, alle persone in terapia con microinfusore. «Ora il calcolo dei carboidrati è considerato importante, se non necessario, per tutte le persone che utilizzano insulina», esordisce Vincenzo Nicastro, diabetologo dell’Unità Operativa universitaria di Endocrinologia, Malattie del metabolismo e Diabetologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, «indipendentemente dalla modalità di erogazione».
Il conteggio dei carboidrati, o ‘Cho counting’ in inglese, è una tecnica che permette di stabilire con una certa precisione quanti carboidrati sono presenti negli alimenti che si stanno per assumere «e quindi valutare la dose di insulina necessaria per ‘coprirli’ senza innalzare troppo la glicemia postprandiale», spiega Ivana Rabbone, pediatra diabetologa nel Centro di riferimento regionale di Diabetologia pediatrica del Piemonte.


Vincenzo Nicastro, diabetologo dell’Unità Operativa universitaria di Endocrinologia, Malattie del Metabolismo e Diabetologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Ospedali Riuniti di Foggia.
Dove stanno i carboidrati.
Il calcolo dei carboidrati è un metodo che permette di adeguare la terapia insulinica alla quantità di carboidrati assunti nel pasto. Il processo di apprendimento prevede diverse fasi: la prima consiste nel sapere quali alimenti contengono carboidrati; «le proteine e i grassi infatti, pur contenendo calorie, non contribuiscono a innalzare la glicemia in modo significativo, soprattutto nelle prime due ore dopo il pasto», ricorda Elisa Del Forno, dietista presso i quattro ambulatori di diabetologia distrettuali di Trieste, «è noto, almeno alle persone con diabete, che tutti i derivati delle farine e dei cereali sono ricchi di carboidrati (pasta, riso, gnocchi, pane, prodotti da forno, patate e polenta), ma spesso le persone che iniziano ad apprendere il ‘conteggio dei carboidrati’ non sanno che anche i legumi hanno un buon contenuto di carboidrati, così come il latte e lo yogurt alla frutta, mentre i formaggi no perché la stagionatura provoca il degrado degli zuccheri». Una delle difficoltà nell’insegnare questa fase del conteggio, «è la confusione che istintivamente si fa fra calorie e carboidrati. Gli alimenti ricchi di proteine e grassi, come le uova, le noci o le creme, non contengono carboidrati ma hanno molte calorie, insomma fanno ingrassare ma non influenzano la glicemia postprandiale, se assunti nelle giuste quantità. Viceversa, i corn flakes che consideriamo ‘salutari’, lo sono ma hanno un altissimo tenore di zuccheri», nota la Del Forno che collabora strettamente con l’Associazione diabetici di Trieste.


Alcol: un consumo misurato.
Un discorso a parte va fatto per le bevande. «Le bevande al gusto di frutta o alla frutta, e in generale i non alcolici, hanno tutte un’altissima quota di zuccheri aggiunti», elenca Elisa Del Forno, «più complessa la situazione per gli alcolici: un bicchiere di vino a pasto non influenza la glicemia; fuori pasto invece gli alcolici inducono il fegato a ridurre la fornitura ‘basale’ di glucosio all’organismo e possono provocare ipoglicemia. La birra ha un 3,5% di carboidrati: non è una percentuale alta, ma un bel boccale da 400 cl, come usa dalle nostre parti, può richiedere da solo un paio di unità di insulina».
Quando parla con dei giovani Elisa Del Forno si sofferma sui superalcolici, «sottolineiamo che è pericoloso eccedere con l’alcol ma sappiamo anche che il proibizionismo serve a poco. Spiego quindi con chiarezza come i cocktail alla frutta, come piña colada, o a base di coca cola, possono innalzare la glicemia, mentre quelli ‘secchi’ che contengono prevalentemente gin, vodka, o per esempio la caipirinha e perfino il mojito, la possono abbassare».

Gli alimenti complessi.
All’inizio è importante imparare quali alimenti contengono carboidrati: si impara a leggere le etichette alimentari e si usano le tabelle nutrizionali che riportano la percentuale di carboidrati nei principali cibi. In alcuni casi può essere una valutazione complessa perché è necessario conoscere i vari ingredienti del piatto che ci troviamo di fronte. «il caso tipico sono le lasagne, dove troviamo pasta ma anche ragù e besciamella che non influenzano la glicemia, oppure le minestre che sono composte di acqua ma anche di orzo, patate e legumi e possono arrivare ad avere il 40-50% di carboidrati», spiega la Del Forno, «ci sono anche degli alimenti trabocchetto come le crespelle, i ravioli e i secondi impanati. Se una fetta di carne non ha carboidrati, la stessa fetta impanata ne ha una quota non trascurabile, non parliamo poi dei bastoncini di pesce surgelati, nei quali l’impanatura rappresenta una quota significativa del peso».



Ambra Morelli, dietista presso il Servizio di dietetica e nutrizione clinica dell’Ospedale San Carlo di Paderno Dugnano in provincia di Milano

Un po’ di fatica per poter affrontare il diabete con più libertà.
Valuta la porzione.
Il secondo passo consiste nel valutare il peso delle porzioni degli alimenti che contengono carboidrati. «In questo sono favorite le persone abituate a cucinare o che per lavoro si occupano di alimenti», nota Ambra Morelli, responsabile del Servizio di dietetica e nutrizione clinica dell’Ospedale San Carlo di Paderno Dugnano, in provincia di Milano. «Chiediamo alle persone che seguono i nostri corsi di ‘allenarsi’ a casa perché, essere i più precisi possibile in questo passaggio, è fondamentale». All’inizio è necessario usare la bilancia per pesare a crudo gli alimenti.
«Se non si è stati allenati a farlo valutare ‘a occhio’, il peso di un alimento non è facile. Per questo consigliamo di aiutarsi utilizzando unità di misura di volume come una tazza o un cucchiaio e unità improprie come la mano», afferma la Morelli. La mano serve per valutare il volume ma anche, con un poco di pratica, il peso, ad esempio, di un frutto. Con un poco di pratica si arriva a stimare con una certa precisione buona parte degli alimenti più frequenti, «i manuali che contengono immagini di cibi e bevande con a fianco il peso sono di grande aiuto per fare esercizio e per stimare i piatti più complessi e meno abituali», nota Ambra Morelli.
In questi corsi si parla molto anche di dolci «e qui dobbiamo superare qualche difficoltà perché la vecchia logica dei cibi ‘proibiti’, ormai superata, rimane nel fondo della nostra mente. Sappiamo tutti che proibire un alimento serve solo a valorizzarlo: ce lo sognamo di notte e, quando possibile, lo mangiamo senza fare calcoli. Meglio quindi affrontare il problema e imparare a stimare il peso e il reale contenuto in carboidrati dei dolci che spesso è inferiore a quello che si crede» spiega Ambra Morelli.
«Una pallina di gelato contiene 15 grammi di carboidrati», ricorda Elisa Del Forno, «e se mangio un dolce ricco di crema assumo tanti grassi ma non altrettanti zuccheri».


Valuta il contenuto in carboidrati.
Il terzo passo del calcolo dei carboidrati richiede un poco di memoria: bisogna conoscere la percentuale di carboidrati presenti in un alimento. Si possono memorizzare delle tabelle oppure aiutarsi con la memoria visiva. Nei suoi corsi Elisa Del Forno mostra delle tabelle che contengono ad esempio tutti gli alimenti composti al 50% di carboidrati o tutti quelli con circa il 20%. «Le etichette nutrizionali sono di grande aiuto, sia perché mostrano gli ingredienti, sia perché indicano la percentuale di carboidrati», ricorda Ambra Morelli, responsabile ANDID per la Regione Lombardia. Conoscendo il peso e la percentuale, calcolare la quantità di carboidrati in un piatto è facile: 70 grammi di pasta, se la pasta contiene all’80% carboidrati, fanno 56 grammi di carboidrati. «Esistono repertori e ausili di vario tipo, utili soprattutto quando si mangia fuori casa», continua Ambra Morelli, «ma questi supporti non sostituiscono il corso. È come con i conti: esistono le calcolatrici ma non per questo a scuola si è smesso di insegnare le tabelline».
«La cosa più difficile è calcolare in modo preciso il bolo di insulina quando andiamo al ristorante, per non parlare dei cibi etnici, perché bisogna stimare ‘a occhio’ ingredienti e porzioni. Per questo io consiglio di tenere un “Quaderno degli esperimenti” in cui annotare il piatto con le sue unità di insulina: in fondo impariamo sempre per prove ed errori!» suggerisce la dietista triestina. È importante notare che solo nella fase di apprendimento le persone effettuano, uno dopo l’altro, tutti i passaggi. «Dopo un po’ diviene naturale sapere che quel piatto ‘vale’ 20 o 35 o 42 grammi di carboidrati, è come se ci fosse scritto sopra», spiega Ambra Morelli. Il calcolo vero e proprio si fa solo davanti a piatti o bevande poco usuali.


Decidere la dose di insulina.
«L’ultimo passaggio consiste nel valutare la dose di insulina necessaria a ‘coprire’ l’alimento o l’insieme di alimenti che si sta per assumere. La chiave è il cosiddetto rapporto insulina/carboidrati che esprime quanti carboidrati sono ‘bruciati’ da una unità di insulina», spiega Vincenzo Nicastro. Il rapporto viene determinato dal diabetologo. «In genere aspettiamo che il paziente, avendo fatto un po’ di pratica, riesca a tenere le glicemie postprandiali in equilibrio. Poi calcoliamo il rapporto sia usando delle formule empiriche, con la cosidetta ‘regola del 500’, sia tenendo conto dei diari glicemici-alimentari che la persona ha tenuto nel frattempo», sottolinea Nicastro che nel suo Servizio organizza quattro corsi al mese per gruppi di 6-8 persone dedicati al conteggio dei carboidrati. C’è un’altra regola, ‘del 1800’, da saper applicare per calcolare la sensibilità insulinica, cioè di quanto scende la glicemia con un’unità di insulina. Il rapporto insulina carboidrati è generalmente vicino a 10, «ma persone magre e che fanno esercizio fisico intenso, possono ‘metabolizzare’ anche fino a 20 grammi di carboidrati con una unità di insulina e viceversa, quelle sovrappeso o sedentarie possono non superare i 6-7 grammi», ricorda Vincenzo Nicastro, «il rapporto può variare nell’arco della giornata o nel corso dell’anno. Anche il ciclo mestruale e, ovviamente, gli stati di stress psicologico e di malattia possono richiedere una maggior quota di insulina per metabolizzare la stessa quantità di carboidrati».


Esiste un altro livello di complessità.
«Se bevo o mangio qualcosa meno di tre-quattro ore dalla precedente iniezione di insulina, come può avvenire con un fuoripasto ad esempio o quando colazione e pranzo sono ravvicinate, devo calcolare anche la quantità residua di insulina ancora in circolazione dal bolo precedente, la cosiddetta insulin on board», sottolinea la Rabbone, «qui i calcoli si fanno difficili».
In passato i medici rinunciavano, nella maggior parte dei casi, ad approfondire questo aspetto. Oggi esistono dei calcolatori di bolo che effettuano questi calcoli automaticamente, tenendo presenti sia le variazioni che possono intervenire nel rapporto insulina/carboidrati, sia la quantità di insulina già presente, e aiutano anche a capire in che misura il calcolo ha avuto successo portando la glicemia postprandiale dentro ‘fasce’ definite come obiettivo dal diabetologo. Questo è importantissimo per i piccoli che si troverebbero in difficoltà ed è molto utile un po’ per tutti, sia chi usa i microinfusori sia chi preferisce la terapia multi-iniettiva», sottolinea Ivana Rabbone.


Una dieta corretta.
Insegnare il calcolo dei carboidrati è un po’ come insegnare a guidare. «È indubbio che il cosiddetto cho-counting regala autonomia alla persona, permettendole di mangiare qualsiasi, cosa tenendo le glicemie postprandiali sotto controllo», ricorda Ivana Rabbone, che segue bambini e ragazzi con diabete nella Struttura complessa a direzione universitaria di Diabetologia pediatrica dell’Ospedale infantile Regina Margherita di Torino, «dobbiamo quindi insistere perché questa libertà sia goduta restando nell’ambito di una dieta sana ed equilibrata, sia nelle porzioni, sia nelle proporzioni fra i vari nutrienti». In questo senso l’elemento principale dei corsi di conteggio dei carboidrati è proprio rafforzare l’idea di una sana e corretta alimentazione.


Nozioni da rinfrescare.
Una volta insegnato, il conteggio dei carboidrati diventa facile, «anche troppo facile», commenta Nicastro, «si finisce per associare direttamente gli alimenti alle relative dosi di insulina, il che è corretto, purché si sia sempre in grado di ripercorrere il procedimento di calcolo. Prima di tutto perché, nel tempo, il rapporto insulina carboidrati potrebbe essere cambiato, in secondo luogo perché, se si è dimenticata la ‘meccanica’ del calcolo, ci si trova in difficoltà davanti ad alimenti non abituali. per questo», conclude il diabetologo degli Ospedali Riuniti di Foggia, «dopo qualche anno, proponiamo a chi ha fatto il corso sul conteggio dei carboidrati di ‘tornare sui banchi’ per dare una rinfrescata alle proprie conoscenze e, visto che questi corsi sono anche un’occasione per stare insieme, tutti tornano volentieri»





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